venerdì, aprile 28, 2006

Il caffè Jesi.

“…la magnificenza e la prosperità di Maurilia diventata metropoli, se confrontate con la vecchia Maurilia provinciale, non ripagano d’una certa grazia perduta, la quale può tuttavia essere goduta soltanto adesso nelle vecchie cartoline…” – Italo Calvino, Le città invisibili.



Ci sono angoli a milano, forse sarebbe meglio dire bar all’angolo, che hanno ancora il sapore del vov. Sì il vov io me lo ricordo, anche se di preciso non saprei dire quand’è stata la prima volta che l’ho assaggiato, né l’ultima. Mi ricordo quella sua bottiglia bianca con la stampa rossa e blu. Credo di ricordarne vagamente il sapore, l’odore. ma la cosa che meglio ricordo è lo scaffale alto del bar di mio nonno dove stavano le bottiglie d’esposizione. Dal pavimento di quel bar io raccattavo le cicche spente da terra. Credo che il motivo fosse che mi ricordavano quelle carammelle mou che tanto amavo. Che mi hanno sbriciolato i denti da latte. Che erano fonte di litigio tra mia nonna e mia mamma. Ancora oggi ricordo la difficoltà di togliere la sottile carta che le ricopriva, appena un po’ di caldo cominciasse a scioglierle, tanto da rinunciarci, tanto da mangiarle con abbondanti pezzi di involucro residuo. Non so se sia grazie agli anticorpi fatti con quelle cicche che oggi mi ammalo raramente o se per colpa di quelle cicche che alterno periodi in cui fumo come un turco a momenti di rifiuto pure del fumo di una candela, fatto sta che mi sono rimaste dentro come un imprinting, che rimane lì, sopito, apparentemente spento, salvo poi manifestarsi all’improvviso, doloroso come la lingua che batte là dove il dente duole e piacevole come i ricordi chiamati alla mente dagli oggetti ritrovati in fondo ad un vecchio cassetto.

Cazzo ho finito le sigarette. Sono nella fase turca.

Ieri, grazie al nostro endemico fastidio nell’uso dell’auto, alla costante cocciutaggine a non arrendersi al solito pub, a un pizzico di snobbismo culturale, a non so quale cazzo di intreccio del fato (e fatemela romanzare un po’) siamo finiti al caffè Jesi. Una volta i bar non avevano bisogno di un nome. Erano semplicemente il bar sotto casa e basta. Forse perché una volta il nome lo avevano le persone del bar e non le cose. Il nome del caffè che si beveva era più che sufficiente. E il caffè jesi è gestito ancora da una di quelle persone che hanno un nome. Hanno una storia da raccontare. Che si intreccia con le storie di chi, pur girando il mondo per professione, sceglieva comunque di stare al bar sottocasa. Si intreccia con gli amori, le amanti, le mogli, le professioni già atipiche di chi si spartiva tra un lavoro dagli orari strani e una partita a ciapa no. Storie che sanno rendere una semplice sera costantemente minacciata dalla pioggia una sera un po’ speciale.


p.s. un giorno vi faccio i test della foto.

venerdì, aprile 21, 2006

Scene di ordinaria follia.

Vecchia bastarda: ”mi scusi ho solo questo mi farebbe passare?!”

Sottolapioggia : ”certo signora, si figuri mi diverto a fare la coda!”, con tono udibilmente scocciato.

Vecchia bastarda:”grazie, troppo gentile…”

Masantalamadonnainlacrimeegesùcristoincroce avrai un età tra i 230 anni e 215 portati male, mi spieghi brutta stronza rompicoglioni dove cazzo devi andare con i tuoi 157 grammi di pesce che ti hanno venduto per fresco e che in realtà contiene più tossine di botulino delle guance della Parodi?

No adesso mi spieghi, brutto resto in decomposizione, che cazzo ci fai di tanto importante con 3 minuti e 7 secondi che hai guadagnato passandomi davanti? Ci spendi la pensione che non hai!?

Che poi passata davanti a me non è che hai guadagnato le prime file manco fossi un abbonato rai, no, ti sei messa lì, a spregio totale del mio tempo… checazzo almeno sfrantica la nerchia a tutta la fila, mal comune mezzo gaudio, ti stavo così sul cazzo?! Sono i miei capelli da fascio-carabiniere, perché se almeno fossero quelli potrei pensare che sei una vecchia anarchica che mi rompe la palle per il mio stile un po’ nazi-battagliero, oppure è il cazzo di orecchino al naso? Perché se fosse quello ti do voletieri una sprangata in fronte e facciamo pari. No dimmi ti prego perché te la sei presa con me, solo con me. Unicamente con me.

Vuoi scavallare la fila? Fallo. TUTTA però DIOCRISTOTUTTAAAAAAA…

Lo so, finirò per prendere l’ergastolo per aver dato troppo lavoro a geriati, a Crepet e perché troveranno resti paleolitici nel mio freezer…


Ammazza la vecchia col FLIT!!!

giovedì, aprile 06, 2006

Sono un estremista.

Dai insomma diciamocelo, non c’è mica bisogno di tirare molotov o spaccare vetrine per essere estremi nelle proprie manifestazioni. Non ci sono cazzi qualsiasi cosa faccia ha una parvenza di essere definitiva nel bene ma soprattutto nel male. E allora mi taglio i capelli, non un po’, non che li regoli se dico che li taglio li taglio punto e basta. La cosa assurda è il motivo che porta a farlo, un motivo che venti minuti dopo non c’è, rimosso con la chioma. Che sarà pure fastidiosa nei primi giorni di sole ma che fa comunque la sua porca figura. Quel che resta dei miei capelli scende per lo scarico del cesso che gorgoglia quasi otturandosi. Il motivo vero di questo post non ho voglia di scriverlo, che i miei vizi rimangano privati.

Comunque se a qualcuno interessa, sappia che mi sono spaccato il cazzo da oggi nel mucchio ci sono anch’io.